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Buongiorno.
Papa Francesco ha appena “traslocato” al Piano Superiore. Non si muore, si cambia solo indirizzo. Francesco, per me, laico, ha sempre rappresentato, a prescindere, un punto di riferimento irrinunciabile. Perché? Francesco è, perché è, un gesuita. La sua scelta, in origine. Rivelatasi, proprio in questi anni, non semplice da portare avanti, se pensiamo a Ignazio di Loyola, fondatore dell’Ordine, quando nella tredicesima regola dei suoi Esercizi Spirituali, al punto 365 delle REGOLE PER SENTIRE CON LA CHIESA, scrive: “Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco, lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica”. Il dogma. Punto. Ma Francesco (e già il nome scelto per il suo pontificato la dice lunga), la sera della sua elezione, comincia subito a uscire dalla gerarchia, e si presenta al balcone della Basilica senza paramenti sacri, salutando i fedeli con un umanissimo “Buonasera”. Ciò che gli costò subito, dai più dogmatici, l’etichetta assurda, lasciatemelo dire, di Papa “comunista”. Il suo modo di essere un Papa “politico”, perché lo è stato, come ogni reggente di responsabilità mondiale, è stato quello di “metterci la faccia”, come si dice, di fronte ai richiami della coscienza di un Pontefice che ha cercato di fare della Chiesa un “Ospedale da campo”, parole sue, per curare le ferite dell’uomo, specie i più poveri, gli emarginati, gli ”inutili” per la produzione ed il profitto. E ha sempre cercato di ricordarci che quel richiamo gli veniva dalla Fede, non dalle gerarchie o dai dogmi, dalla Fede. Specie in Maria. Ma ecco la sua grandezza. Un Francesco, se mi permettete, molto umanamente “greco classico”: incastonato nel dualismo tra la necessità di confrontarsi con la vita “vera” e quella di rendere questa vita “vera” coerente con la dottrina, a volte così asettica e lontana. Il chiedersi che rapporto c’è tra obbedienza e umanità, giustizia, cuore. Francesco conosceva certo benissimo i dilemmi posti dai grandi tragici greci, e dal devotissimo Spinoza: “Omnis determinazio est negatio”. Il mio cuore mi dice che Francesco ha “lavorato” tantissimo sul suo essere Pastore e Profeta allo stesso tempo. Pastore nell’oggi e Profeta nell’indicare la strada. Si è consumato per questo: ha vissuto la sua personale Passione. Per chi mi conosce, la mia storia viene da cinquanta e più anni di ateismo, di cultura materialistica storica. Ma il conflitto interiore di questi ultimi quindici anni, in cui i richiami del Destino mi hanno fatto scoprire l’invisibile, l’irrazionale, la meraviglia dell’incerto, obbligandomi a cambiare prospettiva, mi ha sempre fatto sentire come un supporter di questo Papa cosi, a suo modo, rivoluzionario. Nell’amore, l’indirizzo della casa di tutti. E allora lo avvicino, pensate un po’, proprio Francesco, a un matematico, Premio Nobel nel 1994, John Nash, che molti di noi hanno imparato a conoscere nel bellissimo “A Beautiful mind”, e che ha vissuto certo un conflitto interiore simile a quello di Francesco, sia pur da laico, coi “dogmi” della matematica. Ricordate le parole del suo discorso alla premiazione? “Ho sempre creduto nei numeri, nelle equazioni e nella logica che conduce al ragionamento. Ma dopo una vita spesa nell’ambito di questi studi, io mi chiedo cos’è veramente la logica. Chi decide la ragione… La mia ricercami mi ha spinto verso la Fisica, la Metafisica, l’illusione… E mi ha riportato indietro, e ho fatto la più importante scoperta della mia carriera, la più importante scoperta della mia vita. È soltanto nella misteriosa equazione dell’Amore che si può trovare ogni ragione logica. Io sono qui stasera solo grazie a te (rivolgendosi alla moglie). Tu sei la ragione per cui esisto. Tu sei tutte le mie ragioni. Grazie”. Francesco e John con il loro dibattito interno si sono ritrovati, a parlarsi, al nuovo indirizzo: là dove l’Amore vince.
Vince.